INSERTO


     Buonasera.
     Buonasera.

     Facciamo l'inno?

     INNO: CHRISTE CUNCTORUM, strofe 3-41

     Siamo alla conclusione del libro2, è finito.
     Le conclusioni?

     Sì. Tu avevi detto di finirlo senza di te e poi, quando saresti tornato, ci avresti fatto l'esame finale.
     Essendoci qui migliori maestri di me3, non mi sento di fare l'esame, perciò sentirò le risposte. La risposta a quel che avete meditato sono le domande che riuscite a formularmi. Quando si sente un brano di musica bello, ci son di quelli che sanno parlare di quel pezzo. Sanno dire: "Ci son tre temi, il primo tema ha due sottotemi, il terzo tema ne ha quattro, il quarto tema del terzo tema...": sanno parlare, conoscono la musica, conoscono che cosa voglia dire variazione e tutte queste storie. Io non saprei commentare un bel pezzo di musica, non saprei porre domande: chi non conosce, non sa porre le domande. Solo chi sa, solo chi conosce sa porre le domande.
     Infatti a scuola si capiscono i ragazzi intelligenti dalle domande che fanno. Una classe dove non ci sono mai domande o è una classe di scemi oppure... è un po' scema la professoressa che è lì!
     Avete da formulare domande? Prima la "russa"4!

  1. "Haec Domus surgit tibi dedicata / Rite, ubi sumit populus sacratum / Corpus ex aris, bibit et beati / Sanguinis haustum. // Hic sacrosancti latices nocentum / Diluunt culpas, perimuntque noxas; / Chrismate invictum genus et creatur / Christicolarum." ("Christe cunctorum", Inno della dedicazione del tempio, in Analecta Hymnica Medii Aevi, vol. 27, a cura di C. Blume, Leipzig 1897, p. 265).

  2. Testo di riferimento: L. Giussani, Perché la Chiesa, tomo 2: Il segno efficace del divino nella storia, Jaca Book, Milano 1992, pp. 145-147.

  3. Scherzosamente si allude ad alcuni responsabili presenti.

  4. Il riferimento è a una delle presenti che insegna russo.

  5. L'imitazione di Cristo, capo I, 1.

     Alla fine del testo dici che la Scuola di Comunità si chiama percorso perché è un cammino, e ci dà le ragioni in modo che il cammino sia umano, cioè ragionevole, e sia amato. Volevo chiederti: cosa fa aumentare l'amore al cammino? È il fatto che, fissando lo scopo, questo scopo ti diventa sempre più presente nella vita?
     Anche. Ma l'amore al cammino può essere anche suggerito dalle colonnine che stanno ai margini del cammino, dai quadri che ogni tanto vengono esposti, dalle fonti che son fatte scaturire ogni tanto. Qualunque cosa c'è nel cammino può aumentare, suggerire di aumentare il gusto del cammino.
     Anzi, nella imperfezione con cui lo spirito umano procede verso il suo destino, quanto più uno sente il suo destino in modo affascinante, tanto più può risultare da questo entusiasmo una certa sommarietà nell'osservare tutto ciò che lo anticipa. Per cui L'imitazione di Cristo, che è tipicamente in questa posizione, può dire: Vanitas et omnia vanitas, praeter amare Deum et illi soli servire5 (tutto è vanità, salvo che amare Dio e servire lui solo). Ma io non faccio una meditazione sull'Imitazione di Cristo: prima di tutto, perché l'ho già fatta e, in secondo luogo, perché, avendo scoperto certe cose, non la farei più! Mi spiego? Ognuno ha la sua strada, il suo cammino e la sua faccia.
     Che cosa può aumentare l'amore alla strada? Indubbiamente il riferimento allo scopo e l'approfondimento della sua conoscenza. Ma anche l'attenzione e l'approfondimento della conoscenza di tutto ciò che nella strada è segno dello scopo. Una educazione alla fede in Cristo, la preparazione a una maturità cristiana, secondo me deve essere di questo secondo tipo, perché risulta in una valorizzazione di ogni incontro, di ogni avvenimento, di ogni cosa come segno dell'ultimo. Insomma, forse è inutile procedere su questa linea, però è importante per capire il nostro metodo.
     In questo periodo ciò che mi ha colpito e che mi ha ridato vitalità è proprio il fatto del segno, nel senso del cambiamento mio e delle persone che ho intorno. Non so se è giusto, ma mi sembra l'unico modo per non sentire astratta anche la gloria di Cristo. Volevo capire di più questa cosa.
     È esattamente quello che ho inteso dir prima. La gloria di Cristo, che è lo scopo, è anticipata, nell'esperienza della vita, dalla realtà in quanto ne è segno, dalla realtà anche come storia, supremamente come storia, in quanto ne è segno.
     La tua gioiosità di cuore di questi tempi conferma quello che ho detto prima: pedagogicamente è più importante la seconda delle strade che ho accennate, quella che noi cerchiamo di seguire: accompagnare per mano la singola persona o la comunità ad ogni passo, rilevando la presenza del segno - ci fosse, ci sia -, così che, al limite, tutte le cose - dal filo d'erba alla madre - risultino splendenti del riverbero che lo scopo realizza in loro, cioè del segno che lo scopo realizza nella loro esistenza, nella loro figura.

     La stessa Imitazione di Cristo indica questa strada con un'altra frase: Ex uno Verbo omnia6 (omnia vuol dire ogni cosa): l'elenco di ogni cosa non è bruciato via dallo splendore del tutto e della fine, ma è segnalato sempre più ardentemente dalla fine che s'approssima. Ex uno Verbo omnia, et unum loquuntur omnia (e una cosa sola ogni cosa dice). Ogni cosa parla di una sola cosa: questa è la formula che noi preferiamo. Perché una sana pedagogia introduce veramente la piccola creatura nello svolgimento della sua vita attraverso la percezione, una dopo l'altra, della bontà delle cose, della verità delle cose.
     Questo salva di più il paradiso in terra che neanche un intenso e acceso amore finale. Tant'è vero che, a mio avviso, la situazione in cui siamo di scristianizzazione totale, di estraneità totale al mistero cristiano, è proprio provocata dal modo integralistico o moralistico con cui il fine, la fine, la figura finale, il momento finale è stato esaltato in questi secoli come unica cosa per cui valesse la pena vivere. Invece val la pena vivere la giornata come Dio ce la manda. La giornata come Dio ce la manda è zeppa di segni della manifestazione finale di Cristo Dio.

     Questo che dici è la definizione di spiritualismo?
     Questa non è per sé la definizione di spiritualismo, perché lo spiritualismo non è un'incandescenza di affetto, mai. Basta conoscere gli intellettuali. La figura degli intellettuali conferma questa mia esclusione di loro dal novero che stiamo considerando: la aridità li caratterizza.
     Lo spiritualismo non è necessariamente così, anzi lo spiritualismo non può essere così. Santa Teresa d'Avila ha un'incandescenza che non è spiritualismo, san Giovanni della Croce ha un'incandescenza che non è spiritualismo, ma "Cristo solo".

  1. L'imitazione di Cristo, capo III, 2.

  2. Il riferimento è alla pagina di Si può vivere così?, che in quei giorni veniva spesso citata. Il passaggio dice: "...e perciò con il suo aiuto noi lo raggiungeremo, sorprendendolo mentre sta facendo nascere tutti i fiori del mondo e sta facendo innalzare tutte le montagne del mondo e sta distendendo i laghi, tutti i laghi del mondo e sta distribuendo le stelle, tutte le stelle del cielo".

  3. "E se tu dovessi esser abbandonata dal Creatore, in che potrebbero aiutarti le creature? Rinuncia dunque a tutte queste, e renditi piacevole e fedele al Creatore, per raggiungere la vera felicità." (L'imitazione di Cristo, capo I, 3).

  4. Sal 18, 2.

  5. Fil 4, 13.

  6. Cfr. L. Giussani, Perché la Chiesa, tomo 2, op. cit., p. 10.

  7. Ch. Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d'Arco, in I Misteri, Jaca Book, Milano 1978, p.122.

  8. L. Giussani, "La coscienza religiosa nell'uomo moderno", in Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR, Milano 1994.

  9. A. Carrel, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1980.

     Noi invece non vogliamo Cristo solo, vogliamo anche gli alberi: vogliamo tutte le creature! San Francesco centrava così lo scopo che ha fatto il Cantico delle creature; e dice la sua biografia, dicono le testimonianze che nel cammino, quando si sedeva, piangeva di commozione al pensiero che il sasso su cui si sedeva erano le mani di Dio che lo tenevano su per ristorarlo, a cui si poteva appoggiare per ristorarsi.
     D'altra parte, quell'incandescenza tesa, centrata sul fine, ci richiama tutti dalla grande tentazione per cui, resi capaci di sorpresa e di stupore davanti a un pino dalla sensibilità destata dalla conoscenza di Cristo (da cui ogni pezzo di quell'albero esce, che è la consistenza di ogni ago), possiamo anche attardarci un po' troppo a guardare i pini, mentre, per esempio, la gente muore; possiamo attardarci un po' troppo nella gioia dei balli, delle feste, mentre la gente non ha pane.
     C'è una tentazione da una parte e c'è una tentazione dall'altra. Non mi spiego? C'è una tentazione che deruberebbe tutto il creato di quel che ha: prendendo un ramo e strisciando con la mano lungo il ramo, tutte le foglie vengon via e il ramo secco cade per terra. Tutto è niente, salvo Dio: questo è vero, l'entusiasmo della fine è vero. Ma perché Dio ha fatto anche le piante, ha fatto la madre, il padre e le sorelle, gli amici, i figli, le piante, le stelle (pagina 189!7)? Perché ha fatto tutto questo? Secondo me è più obbedienza a Dio, perciò dà maggior rilievo educativo, il cercare passo passo, come quel tale che stava davanti a me, salendo sul monte Pana, e guardava continuamente per terra. Io ero dietro con i primi tre ragazzi di GS che hanno fatto le vacanze con me - eravamo in quattro a Selva di Val Gardena -, eravamo dietro a questo qui che andava adagio e ogni tanto si curvava per terra a tirar su un sasso: era uno scienziato alla ricerca di fossili. È più secondo la natura fatta da Dio questo passo dopo passo alla ricerca di un segno dopo l'altro, che neanche quella folata di Spirito che brucia via tutto e ci butta nell'incendio finale.
     Non sto dicendo che questo secondo è sbagliato, neanche un po', anzi. Se fosse qui l'autore dell'Imitazione di Cristo, scuoterebbe il capo e: "Sì sì, capisco il tuo amore alle creature, ma è il Creatore l'importante"8. E io direi: "No, è Gesù l'importante. E Gesù non è né creatore, né creatura: è tutt'e due! È anche creatura e pur rimane la consistenza di tutte le cose perché è Dio, è la consistenza degli alberi, dei fiori, dei cieli, delle montagne, dei laghi".
     Perciò noi insistiamo che la pedagogia alla fede è più consona, più concorde con la debolezza e la piccolezza dell'uomo, un passo dopo l'altro, se sottolinea la presenza di ogni cosa, se ricerca la presenza in ogni cosa del segno che Gesù vi ha lasciato; più che non, improvvisamente, lasciarsi andare a una ventata di Spirito che ci porti, ci depositi in un monastero di clausura da cui più non uscire.
     Invece ci son tanti per i quali Dio stesso sceglie l'essere colpiti, persuasi da un temperamento pedagogico: li prende per il collo e li porta dove Lui vuole. Non pochi tra voi son stati presi per il collo e portati qui! Quindi!
     Diventa importante capire il perché; la risposta alla domanda della nostra "russa" indubbiamente rileva la preponderanza della coscienza del perché ultimo. Senza la sottolineatura del perché ultimo scompaiono anche le attrattive delle cose particolari. Il perché ultimo è come il sole: senza l'attrattiva del sole c'è l'oscurità, nell'oscurità naufragano le forme di tutte le cose. Invece l'attrattiva ultima, l'ultimo termine dell'attrattiva è il sole che nasce, e allora tutte le cose prendono il loro rilievo. Una pedagogia adeguata cerca di non lasciar sfuggire neanche una delle cose illuminate dal sole.

     Dicevi che hanno valore tutt'e due le strade, ma la seconda è come se rispettasse di più l'incarnazione.
     La norma è la seconda, la prima indica la libertà assoluta della grazia, propria dello Spirito. La seconda è pedagogica, la prima è dimostrativa della potenza.
     Qual è l'uso della prima strada nella seconda? La sicurezza della domanda, la certezza della domanda - "T'amo Dio, mia forza"9, "Di tutto son capace in Colui che è la mia forza"10 -, è la sicurezza. Se sbaglio son sicuro di riavermi, non io, ma quello Spirito che ha portato santa Caterina da Siena di volata allo scopo finale (per quanto Caterina da Siena si nascondeva anche dietro gli aghi dei pini!).

     Nella Scuola di Comunità mi ha colpito che tu, parlando della Chiesa, ci dici proprio che cos'è l'uomo e parli di come i primi cristiani fossero consapevoli di quello che erano: il luogo della salvezza11. Lì appartenevano a Gesù, perché Gesù era lì, e per me capisco che è proprio così adesso. E diventare un po' più consapevole di questo, proprio dall'esperienza della casa, mi ha tolto la paura del dire ad un altro: "Vieni con me", perché...
     È strabellissimo! Il non avere paura di dire a un altro: "Vieni con me, perché è il luogo migliore, è la strada migliore" è il segno del primo dentro il secondo, è il segno supremo del primo dentro il secondo, perché è più che la parola della preghiera: è una preghiera che ti ingaggia, che ti impegna con un altro, senza paura di far figura che quell'altro non sarà soddisfatto. E potrebbe non essere soddisfatto, ma sarebbe evidente che è per colpa sua, per carenza di qualcosa in lui. Infatti, non potrebbe fare nessuna bordata contro gli spalti della nostra guarnigione.
     Come Péguy ha detto di Gesù in croce: che il suo grido finale fu la disperazione del Figlio di Dio, il dolore per l'impossibilità a salvare Giuda12. Non c'è nessuna esperienza più dolorosa in noi di non riuscire a dare a un altro il gusto di chiarezza, la tenacia di resistenza che sentiamo in noi, in noi che non avremmo mai supposto di poterlo avere. Infatti la posizione che dobbiamo assumere di fronte a chiunque è perennemente un'ipotesi positiva: partire sempre da un'ipotesi positiva è salvaguardare nella vita la presenza della letizia e anche della libertà.
     Se uno sente odor di limite come odor di brucio, c'è un incendio, cioè c'è qualcosa che si perde: perché nel suo agire c'è qualcosa di non vero. Invece il valore del limite, il limite come valore ha come sua suprema conferma la libertà, per cui il paradosso dimostra di più la sua presenza; è la libertà che sussiste e vive nel limite: si chiama ordine o obbedienza.

     Non ho capito il nesso tra libertà e ordine.
     Quando il limite non è più vissuto come limite, ma come ordine, allora genera libertà. E il limite è ordine quando è in funzione di un ultimo, quando è segno dell'ultimo.
     L'esempio più impressionante in questo senso è Gesù: provate a immaginare Gesù che sta giocando ai sassi coi suoi compagni quando aveva dodici anni: più limite di quel ragazzino lì... che tra l'altro aveva una finezza, una delicatezza tale che si capiva che non avrebbe dato i pugni come li dà Mario, non poteva dar pugni (è strano, ma è così); d'altronde a nessuno veniva voglia di dar pugni a quello lì: "Come mai è così buono?".
     Una creatura è un limite, ma quando tu percepisci un limite come ordine - cioè come ordinato a, come destinato a, come in funzione di qualcosa di più grande (per questo tutti avevano rispetto di quel ragazzo; anche i dottori della legge erano meravigliati, ne parlavano bene, non male) -, allora il limite - se è ordinato, se è fattore di ordine - è libertà. La libertà, infatti, è un limite che ha dentro qualcosa per cui supera se stesso, la libertà è superare se stessi e andare verso qualcosa di definitivo, di finale.
     Comunque, non son pensieri semibui! Mentre prima eravate di sopra, quattro o cinque a far cucina, mi chiedevo: "Chissà se pensano?". L'altra sera sono stato portato a casa da una macchina guidata dalla Patrizia con su altre tre ragazze. C'era un vocìo, immaginate: se due donne fanno un mercato, quattro ragazze in macchina fanno un finimondo! Eran tutte arzille, ma mi sono accorto che una non parlava. Allora a un certo punto ho detto: "A cosa stai pensando? - suo papà è morto improvvisamente due settimane fa e lei ha portato (starei per dire) con grazia, nel senso e fisico e soprannaturale del termine, ha portato con grazia la disgrazia -. Cosa stai pensando?". "In questo momento, veramente, stavo dicendo: Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam". Per cinque minuti non ho più avuto il mercato! Così, si può mettere a posto la cucina con dentro due o tre - zam! - di queste cose qui. E non è questione di numero, ma è questione di tensione, di direzione dell'essere, del proprio essere.
     Hai da dire qualche cosa?

  1. Pietro de Rudder, contadino fiammingo, subì un incidente che compromise irreparabilmente l'uso di una gamba. Dopo otto anni, recatosi ad Oostacker, dove si venerava la Madonna di Lourdes, gli fu concesso il miracolo della completa guarigione e della riparazione ossea integrale. (Cfr. A. Savorana, Oostacker, 7 aprile 1875, in "Litterae Communionis Tracce", n. 8, settembre 1995, pp. 36-38).

  2. L. Giussani, Perché la Chiesa, tomo 2, op. cit., p. 146.

  3. Cfr. Sap 1, 13-15.

  4. "Sopra il leggio di quercia è nell'altana, / aperto, il libro. Quella quercia ancora, / esercitata dalla tramontana, // viveva nella sua selva sonora; / e quel libro era antico. Eccolo: aperto, / sembra che ascolti il tarlo che lavora. // E sembra ch'uno (donde mai? non, certo, / dal tremulo uscio, cui tentenna il vento / delle montagne e il vento del deserto, // sorti d'un tratto...) sia venuto, e lento / sfogli - se n'ode il crepitar leggero - / le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento, // invisibile, là, come il pensiero... // Un uomo è là, che sfoglia dalla prima / carta all'estrema, rapido, e pian piano / va, dall'estrema, a ritrovar la prima. // E poi nell'ira del cercar suo vano / volta i fragili fogli a venti, a trenta, / a cento, con l'impaziente mano. // E poi li volge a uno a uno, lenta- / mente, esitando; ma via via più forte, / più presto, i fogli contro i fogli avventa. // Sosta... Trovò? Non gemono le porte / più, tutto oscilla in un silenzio austero. / Legge?... Un istante; e volta le contorte // pagine, e torna ad inseguire il vero. // E sfoglia ancora; al vespro, che da nere / nubi rosseggia; tra un errar di tuoni, / tra un aliare come di chimere. // E sfoglia ancora, mentre i padiglioni / tumidi al vento l'ombra tende, e viene / con le deserte costellazioni // la sacra notte. Ancora e sempre: bene / io n'odo il crepito arido tra canti / lunghi nel cielo come di sirene. // Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti, / invisibile, là, come il pensiero, / che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti, // sotto le stelle, il libro del mistero." (G. Pascoli, "Il libro", in Poesie, Oscar Mondadori, Milano 1974, pp. 275-276).

     Sì, però adesso tu hai detto delle cose troppo diverse e troppo più belle! Comunque, leggendo questa parte finale, ho ripreso La coscienza religiosa nell'uomo moderno13, perché se la verifica dovrebbe essere questa e adesso la gente non sa più cos'è la Chiesa è perché la Chiesa è come se non portasse più il significato della vita alla gente.
     La Chiesa è presentata e vissuta da chi vi appartiene in modo tale che non reca più sulla piazza umana, nel mercato umano, nella vita umana, l'esempio di quel che è la vita - l'esempio - e la profezia di quel che la vita sarà. Non reca più l'esperienza di un ordine; non reca più, cioè, il miracolo, perché il miracolo è l'esplodere di un ordine, impensato, più profondo di quello che già si sapeva. L'ordine che si sa è un ordine che fa marcire, l'ordine del miracolo è un ordine che fa guarire, come nel Viaggio a Lourdes di Alexis Carrel14, come quello che vi avevo raccontato del Pietro de Rudder15.

     Nella conclusione dici che comunque questa proposta cristiana è fatta proprio alla persona nel presente e deve essere accettata liberamente. E c'è un pezzo di Bernhard Welte che dice delle cose che da una parte mi piacciono, ma che nello stesso tempo non mi sembrano proprio uguali e precise a quello che dici tu. Lo leggo: "Bernhard Welte, trattando delle radici del nichilismo europeo e della possibilità di una trasformazione di questo in esperienza religiosa, ci offre un'interessante osservazione di metodo: "...Tale svolta dell'esperienza non può essere dimostrata in modo coercitivo. Essa è senza dubbio possibile in ogni momento, ma non è in nessun caso necessaria"" 16. Vado avanti a leggere? "Per di più non può essere prodotta mediante metodi razional-finalistici. È possibile chiarirla, come abbiamo cercato di fare. Si possono citare dei testimoni a suo favore, come abbiamo pure fatto. Ma i testimoni non obbligano; essi richiamano soltanto la nostra attenzione". Tu invece dici che è un dovere razionale aderire quando una cosa è evidentemente vera.
     Dovere razionale non toglie la libertà opzionale.
     Però la libertà in questo caso sarebbe usata male, come peccato.
     Certo.

     Perché i testimoni non richiamano soltanto l'attenzione: ti "costringono" a un sì o a un no. E il no è un errore.
     Richiamandoti l'attenzione, devi scegliere. Lascia in sospeso un'altra frase che avrebbe potuto dire: richiamandoti l'attenzione, ti obbligano a scegliere. Ma per noi non c'è bisogno di arruffarsi tanto per salvare e parlare della libertà. Noi siamo i primi ad affermare che l'uomo è libero, proprio in epoche recenti in cui tutti - tutti -, con il loro nichilismo, con il loro pragmatismo, hanno affermato l'uomo deterministicamente inteso, l'uomo cioè frutto di inesorabili influssi - che è anche il concetto fondamentale da cui sono guidati i mass media di tutti gli Stati, essendo così tutti gli Stati dittatoriali o pragmatisti, che è lo stesso (perché lo Stato moderno ha come ideale lo statalismo in tutte e due le posizioni)!

     Facendo il raduno della casa, la Coki ci aveva detto, riandando alla Veglia, che la realtà è sempre positiva: se sei distratto è strada, se sei cosciente è compagnia. Comunque, è positiva.
     Lo dice il primo capitolo del libro della Sapienza17. È bella questa conclusione: se la realtà è positiva, almeno è strada e tende a diventare compagnia.

     Mi piacerebbe che mi spiegassi meglio cosa vuol dire che tende a diventare compagnia.
     Tende a diventare compagnia in due modi.
     Prima di tutto, se tende a diventare consapevole: pensa all'evoluzione, che nella storia della natura ha portato a galla l'uomo con la sua coscienza, che ha portato all'insorgere della coscienza umana: questo è il disegno di Dio come intelligenza.
     E, secondo, in proporzione all'attenzione che tu ci porti, che è nello stesso tempo grazia di sensibilità e agilità e umiltà di adesione della libertà: come andare sul monte Pana da Selva di Val Gardena, guardando le montagne o guardando per terra cercando i fossili, che è lo stesso gesto di positività di ricerca, di ammirazione per la natura, di stupore per la bellezza. La realtà è strada, ma incomincia a diventar compagnia. Se poi sei lì con due o tre amici con cui sei affiatato, diventa compagnia di cui tutto partecipa: quando si è insieme due o tre affiatati, affettuosamente affiatati, anche la natura vi partecipa.
     Come abbiamo rilevato spiegando Pascoli, vi ricordate?18

  1. A. J. Cronin, E le stelle stanno a guardare, Bompiani, Milano 1955.

  2. Don Giussani dice questo accorgendosi della birra sul tavolo.

  3. Cfr. Nm 14, 14.

  4. L. Giussani, con un gruppo di compagni di studio che condividevano il suo modo di sentire la persona di Cristo, diede vita, negli anni del seminario, allo "Studium Christi", per tentare un approccio al cristianesimo come era stato vissuto dai Padri della Chiesa. (Cfr. Un avvenimento di vita cioè una storia, Interviste e conversazioni con L. Giussani, EDIT Il Sabato, Roma 1993, p. 399).

     Sì.
     "E le stelle stanno a guardare"19. Se un autore ha la coscienza dello scopo, del fine, anche la natura è cammino, ma cammino che partecipa, entra nella sua coscienza, partecipa ai passi della sua coscienza: è compagnia. Se non hai il senso del fine, se neghi il fine, sei negativo: la natura è gelida e imperterrita. Come se tu salissi da Selva a monte Pana con l'angoscia dentro perché t'han detto che tua madre, che era sopra in albergo, ha avuto un ictus: tu vai su con un tale cardiopalma che non ti accorgi neanche delle belle montagne, della Val Longa o del Sassolungo... E io non mi accorgevo della compagnia della birra!20

     Sai, quando tu racconti di quando eri giovane, che avevi ventiquattro, venticinque anni, io penso sempre com'eri solo; ma col carattere che avevi come facevi?
     No, il contrario.

     Ma, quando eri lì ammalato, al mare, in montagna?
     Non sono mai stato solo, neanche quando ero malato...

     Eri con Gesù?
     Macché Gesù! Gesù Cristo, questo sì. Avevo netto e spaventosamente chiaro il senso della gloria di Cristo, che tutto è gloria di Uno, che tutto è gloria di Cristo, dell'uomo Cristo, e tutto va a finir là. Ma questo era troppo intelligentemente necessario per poter essere dimenticato, per poter essere visto e poi dimenticato.
     Dire "Gesù" è questo che va oltre questo: tu sei già dentro la nube del monte Oreb e parli con Dio faccia a faccia21, come un amico parla ad un amico, allora dici Gesù. Ma il nome di Gesù come dominatore della storia si chiama Gesù Cristo.

     Se dico "Cristo" mi dici che ho sbagliato e che devo dire "Gesù"! Li dirò sempre tutti e due attaccati, ma inventerai qualcosa la prossima volta!
     No, no, no. Rifiuto questo attentato alla verità e alla schiettezza del mio dire! Quello che ho detto è una cosa grossa, invece, e psicologicamente evidente. Perché a quindici anni uno è entusiasta di Cristo re, di Cristo: Studium Christi22. Ma Gesù rimane pietistico fino a quando non diventa il sì di san Pietro, il "Ti amo" di san Pietro.

  1. Cfr. L. Giussani, Si può (veramente?!) vivere così?, BUR, Milano 1996, p. 199.

  2. Cfr. Gal 2, 20.

  3. L. Giussani, Si può vivere così?, op. cit.

  4. L. Giussani, Si può vivere così?, op. cit., p. 189.

  5. L. Giussani, "Dio: il tempio e il tempo" in Il tempo e il tempio. Dio e l'uomo, BUR, Milano 1995, pp. 9-35.

  6. "Vorrei che fosse amore", di A. Amurri e B. Canfora, Ed. Curci 1968.

  7. "Sevillanas del adios", in Canti, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Milano 1995, p. 237.

  8. "E vi ricordo il racconto di Guareschi, sul settimanale "Il Candido", nel dopoguerra. Di lui e lei ottantenni, seduti sul ballatoio della casa, che guardano il passeggio del dopo mezzogiorno; e lui: "Come son belli i tuoi capelli": ne aveva tre!". (Cfr. L. Giussani, Si può vivere così?, op, cit. p. 358).

     Mi è piaciuta una cosa che hai detto poco tempo fa, quando hai detto che nella conca piccola che è il presente, anche se sufficientemente luminosa da contenere l'infinito, il modo con cui ci raggiunge Cristo è sempre un terminale di carne23.
     Ma questo è la frase di san Paolo che abbiamo più citato da due anni a questa parte: "Pur vivendo nella carne, vivo nella fede del figlio di Dio"24. La fede del figlio di Dio la posso vivere nella carne. La carne è l'avvenimento umano, il grumo delle circostanze che qualificano l'istante presente, il minuto presente, l'ora presente, il cumulo di fattori che costituisce una mia azione o il terminale di un mio progetto.
     Per questo vi ho detto tante volte - ma chissà se è utile questa cosa, e poi è presa male! - che il rapporto con Cristo lo capisci attraverso quello che vivi nella tua carne: "Pur vivendo nella carne, vivo nella fede". Per questo io dico che non si può parlare di amore a Gesù, se questo non si è sperimentato nel rapporto con la propria madre, con un uomo, con una donna, con un amico, con un'amica: è impossibile, non è possibile. Non è che si debba essere artificiosi e provocarci a delle tentazioni a cui noi non andremmo soggetti per l'equilibrio del nostro cuore e per la compassione che Dio ha di noi, non è che dobbiamo forzarci, ma stare bene attenti a quello che insorge come modulazione, come attività del nostro cuore, perché Gesù si conosce da lì, dentro lì: dentro si conosce.
     Per questo è sempre croce e resurrezione, implica sempre un sacrificio. Perché l'esperienza si spalanca come attrattiva ("Pss pss, vieni, vieni, vieni..."); si arresta (van lì tutti i carabinieri del cuore ad arrestarlo) come sacrificio; e fa scoppiare tutte le manette, le manda tutte per aria, con la resurrezione: diventa resurrezione. La resurrezione è questo cambiamento profondo per cui quello che prima sarebbe stato obiezione diventa la scoperta di quel che è il rapporto di me con Cristo. E dopo c'è tutta la storia della fatica per alimentare questo, per sostenerlo, per renderlo stabile. Perché non è più come in principio: in principio quest'ultimo fattore mancava, ma dopo il peccato originale intervenne. La fatica, cioè il lavoro: diventa lavoro quello che sarebbe stato ovvio. L'ovvio diventa lavoro.
     Però, scusate: dovete leggere e rileggere questi testi fino a impararli a memoria. Certe mezze pagine di Si può vivere così?25 bisogna studiarle a memoria, altrimenti l'idea di tenerezza o l'idea di sorprendere Gesù "mentre sta facendo nascere tutti i fiori della terra" 26 non restano in mente. Devono restare in mente letteralmente, come suono.

     Senti, don Gius. Noi adesso abbiamo finito questo libro.
     Facciamo
Il tempo e il tempio?27
     Sì.
     Vuoi un canto?

     CANTO28

     Ma provate a pensare se queste rimanessero solo parole e non si riferissero a una realtà possibile e quindi a una realtà vivente. È questo il valore del segno: se non è segno, una cosa si sfascia; mentre la pronunci, si sfascia. Mentre si sfascia, diventa ridicola; non solo vana, ma ridicola.
     Ma la musica dov'è che l'avete presa?

     Di Mina.
     La musica è veramente bella.
     Anche le parole?
     Anche le parole, nella misura in cui sono pesate come segno: sono montagne. Su, un'altra canzone!

     Quale vuoi? La Sevillanas?29
     
La Sevillanas.

     CANTO

     Bene, preghiamo la Madonna perché a nessuno di noi faccia venire la paura del sacrificio. La paura del sacrificio è quanto di più inintelligente ci sia. È la morte prima della morte, la paura. E si ha paura del sacrificio, non del bello, del buono. Perciò cerchiamo il bello: dovunque, anche in quei tre capelli della vecchia del lontano Guareschi!30
     Ciao a tutti.