Ricordare con adeguata ampiezza la data del 18 aprile 1948 mi
sembra doveroso, lieto che lo si possa fare senza quelle prudenze (termine qui più che
improprio) che portarono per anni a minimizzare o addirittura a dimenticare, per non
urtare la sensibilità di uno dei partiti sconfitti nella decisiva prova elettorale.
Mezzo
secolo comporta comunque il passaggio dalla cronaca alla storia. E gli eventi sono stati
tali da rimuovere ogni possibile residuo di dubbio nel giudizio da darsi sulle elezioni
della prima legislatura repubblicana.
Ricordare con adeguata ampiezza la
data del 18 aprile 1948 mi sembra doveroso, lieto che lo si possa fare senza quelle
prudenze che portarono per anni a minimizzarla
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Simpatie
e nostalgie per i regimi di obbedienza staliniana credo che non esistano più. Il ruolo
decisivo dell'Unione Sovietica per liberarci dal nazismo non è in discussione. Quel che
andava scongiurato - e che altri Paesi non riuscirono - era l'estensione ulteriore del
modello di dittatura di Mosca. L'esempio recentissimo della Cecoslovacchia (marzo 1948)
aveva visibilmente spaventato anche quote di popolazione in partenza orientate a sinistra.
Vi è
un punto da chiarire subito. Molti reduci del Fronte popolare affermano che in caso di
loro vittoria non sarebbe accaduta l'involuzione che devastò altrove gli ordinamenti
democratici. Respingere questa tesi non comporta affatto una catalogazione globale dei
comunisti e socialisti italiani come sostenitori della dittatura rossa. Ma non lo erano
nemmeno molti loro compagni polacchi, ungheresi, cechi, ecc. È una gratuita offesa verso
questi sostenere il contrario per ritenersi fuori. Dirò di più. Forse gli stessi Nenni e
Togliatti sarebbero stati chiamati all'ordine e in caso di titubanza posti fuori giuoco.
Non è provocatorio o fantasioso (semmai è un dovuto riconoscimento) sostenere che
persone che avevano patito il carcere fascista sarebbero tornate in prigione o spinte
all'esilio.
Del
resto alla gerarchia ufficiale dello stesso Pci si affiancava una rete clandestina - ma
non del tutto - di fiduciari diretti del Cremlino.
Né
può ritenersi una prova in senso contrario la moderazione che Stalin suggerì a Nenni
quando andò a prendere il premio della (loro) Pace. Venne lui stesso correttamente ad
informare De Gasperi, me presente come sottosegretario. Alla sua dichiarazione di battersi
per la neutralità, Stalin lo aveva raggelato dicendo che l'Italia, per la sua
collocazione e per la storia, non può essere neutrale. Occorreva invece battersi contro
l'oltranzismo nell'Alleanza. Di qui il celebre slogan nenniano (ma in verità staliniano)
contro l'oltranzismo atlantico.
Nelle
consultazioni della crisi governativa del 1953, Nenni sostenne che l'Alleanza non era un
ostacolo all'allargamento della maggioranza perché "i trattati sono pezzi di
carta". Più tardi i socialisti e lo stesso Nenni rettificarono sostanzialmente il
tiro. E nel 1977 anche i comunisti passarono per così dire il Rubicone del Patto (verso
le istituzioni europee già avevano mutato avviso, in coincidenza con il superamento del
loro ostracismo dalle rappresentanze comunitarie).
Ma
torniamo all'aprile 1948. Si viveva dalla metà dell'anno precedente in una situazione
politicamente atipica. Il 31 maggio De Gasperi aveva formato un governo che per la prima
volta non comprendeva né socialisti né comunisti, passati all'opposizione e con grande
clamore. La spaccatura si era resa necessaria per il totale divario sui rapporti
internazionali dell'Italia.
Ma a
Montecitorio i deputati avevano continuato il loro lavoro con immutato spirito
costruttivo, arrivando a fine dicembre 1947 all'approvazione della Costituzione a
grandissima maggioranza.
Alla fusione tra comunisti e
socialisti si contrappose un gruppo di partiti democratici alleati che conservavano la
propria identità e si impegnavano ad una totale fedeltà al metodo democratico
(espressione che ricorreva spesso in De Gasperi)
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Era
stata anche faticosamente votata la ratifica del Trattato di pace, la cui firma peraltro
risaliva al governo di coalizione.
Per un
mese ancora l'Assemblea continuò a riunirsi, dopo il dicembre, in un clima disteso, per
approvare gli Statuti delle Regioni a regime speciale; per completare la legge elettorale;
ed anche per una prima legge sulla stampa nella quale si equipararono a quelle oscene le
pubblicazioni raccapriccianti e quelle atte a turbare la sensibilità degli adolescenti.
Ricordo che per il resto la funzione legislativa era esercitata dal Consiglio dei
ministri, nel quale, accanto a De Gasperi, lavorava con grande prestigio e intensità il
senatore Luigi Einaudi, che aveva eccezionalmente conservato anche il governo della Banca
d'Italia.
La
campagna elettorale fu di una crescente vivacità. Alla fusione tra comunisti e socialisti
prendendo in prestito l'Eroe dei due mondi, si contrappose un gruppo di partiti
democratici alleati che conservavano la propria identità e si impegnavano ad una totale
fedeltà al metodo democratico (espressione che ricorreva spesso in De Gasperi). Non fu
espressione retorica né indice di tiepida adesione alla Democrazia cristiana se lo stesso
De Gasperi invitò i cittadini a votare per uno dei partiti governativi.
La
coscienza di dover difendere la nazione dal pericolo comunista andò rapidamente
ampliandosi anche per provvidenziali errori della controparte. Tra questi la stipulazione
di un patto di disturbo europeo, promosso da Mosca, che sarebbe rimasto segreto senza una
fortunata operazione giornalistica. Il direttore del quotidiano romano Momento Sera,
Realino Carboni, venne a portarne una copia al presidente garantendo l'assoluta
autenticità.
Per il
Pci avevano partecipato al conclave, tenuto in Polonia, Luigi Longo e Eugenio Reale. Era
necessario allontanare dai due il sospetto di violazione del segreto. Per questo fui
inviato io a Parigi dal primo ministro Robert Schuman, che ne curò la pubblicazione, da
noi immediatamente riprodotta e diffusa in Italia. I comunisti si affrettarono a smentire,
ma lo spettro di questo Cominform agitò in profondità lo spirito degli italiani. Del
resto qualche anno dopo Eugenio Reale abbandonando (formalmente per espulsione) il Partito
comunista non solo confermò l'autenticità del documento, ma rese noti inquietanti
verbali delle riunioni preparatorie, con un Luigi Longo che assicurava forti
disponibilità di armi e perfino inventava cronache di massicci scioperi mai avvenuti. Il
Pci era sotto accusa per essersi lasciato estromettere dal governo e doveva giustificarsi.
Curiosità della storia: i censori più aspri erano stati gli jugoslavi che, a breve
distanza, incoraggiati dalla sconfitta del Fronte, avrebbero cominciato a prendere le
distanze dal grande compagno del Cremlino.
Nella
mobilitazione democratica del 1948 hanno avuto una parte rilevante le organizzazioni
religiose, attraverso un geniale collegamento ad hoc di tutte le forze di ispirazione
cattolica, distinto dalla struttura dell'Azione cattolica e dalle altre istituzioni. Negli
articoli che seguono vi sono testimonianze dirette degli artefici di quella campagna di
primavera voluta e sostenuta personalmente da Pio XII: il cardinale Fiorenzo Angelini, il
professor Luigi Gedda, padre Lucio Migliaccio e il genialissimo Turi Vasile.
Non è
ancora del tutto superata la critica per la partecipazione della Chiesa in questa
congiuntura dell'Italia. Ci si appellò persino al Concordato del 1929 - da poco
introdotto nella Costituzione - sostenendo che sancisse una sorta di voto di castità
politica, laddove si parla solo di divieto dell'iscrizione dei sacerdoti ai partiti
politici (strano plurale nel 1929 quando esisteva solo il partito). Ricordo che in un
comizio di quelli terra terra, ad un rimprovero per questa presunta invasione di campo del
clero, risposi che come i coltivatori diretti avevano il diritto-dovere di difendere la
propria terra, così anche la Chiesa non poteva restare estranea dinanzi ad un pericolo di
ateismo militante che aveva già allungato la sua piovra con atti di violenza che da tempo
la Chiesa non registrava contro i suoi pastori e i suoi fedeli. Chiamateli pure
coltivatori diretti di anime, ma non potete pretendere una loro resa senza combattimento.
Dopo il diverso risultato delle
elezioni del 1953 il presidente De Gasperi volle, in quella triste sera del 29 luglio,
darci la più edificante lezione di vita, ammonendoci a non dimenticare mai che siamo
tutti servi inutili
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I
Comitati civici - così si chiamò la novità strategica del coordinamento cattolico -
dettero una assoluta priorità alla lotta all'astensionismo, considerata l'unica carta
vincente per il Fronte. Vero o no che fosse (credo vero) si era convinti che il Fronte
fosse in grado di portare alle urne tutti i propri sostenitori; mentre nell'altro versante
vi erano zone non piccole di ritenuta pigrizia, di tentazioni di opportunismo ed anche di
autentica paura. Nessuno dei manifesti dei Comitati invitò a votare Democrazia cristiana.
Gli appelli furono tutti contro l'assenteismo e le possibili fughe, anche se tra gli
slogan più efficaci vi fu il monito che nella cabina elettorale Dio vi vedeva e Stalin
no: chiaramente indicativo di chi non si doveva votare.
Gli
analisti indugiano nel quantificare l'apporto cattolico al successo del 18 aprile, in
relazione alle potenzialità organizzative della Dc e dei partiti alleati. Sono calcoli
che non mi attraggono. So peraltro - a parte i riconoscimenti esterni - che qualche giorno
dopo lo scampato pericolo fui incaricato da De Gasperi di portare un simbolico segno di
ringraziamento tanto a Luigi Gedda che all'allora monsignor Angelini. Ricordo anche che,
quattro anni dopo (ma non erano in giuoco i Comitati civici), un improvvido allarme
qualunquistico per le elezioni municipali romane amareggiò profondamente tutti noi
politici e rischiò di farci scivolare in una brutta involuzione. Pio XII, quando fu
informato con esattezza della situazione, ordinò il ripiegamento della manovra che -
cattiverie della storia - aveva preso nome dall'obbedientissimo e santo sacerdote Luigi
Sturzo.
Ho
parlato non a caso di scampato pericolo. Il voto degli italiani fu ampio ed esplicito.
Ricondurlo a fattori esterni (flotta Usa, eredità di Yalta, massicci finanziamenti e
simili) è una deformazione storica. Va aggiunto qui che l'interpretazione del successo fu
la più lineare e corretta: mantenimento della coalizione - resistendo ad ogni spinta
integralista - e coraggiose leggi di sviluppo (riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno,
ecc.). Questa utilizzazione riformistica del successo certamente non piacque a quegli
elettori del 18 aprile che avevano voluto la prevenzione dal comunismo ma non volevano
trasferimenti di risorse verso i ceti meno abbienti. Di qui, anche se non fu il solo
motivo, il diverso risultato delle elezioni del 1953 e la ingenerosa messa a riposo del
presidente De Gasperi che volle, in quella triste sera del 29 luglio, darci la più
edificante lezione di vita, ammonendoci - Vangelo alla mano - a non dimenticare mai che
siamo tutti servi inutili.
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